In Rosa Balistreri convivono antico e moderno, tradizione popolare siciliana e denuncia sociopolitica. È un tipo di esperienza artistica che la accomuna ad altre figure fondamentali della seconda metà del XX secolo. Si pensi, ad esempio, al lavoro di Roberto Leydi e Sandra Mantovani con il Nuovo Canzoniere Italiano, oppure alle ballate vecchie e nuove di Ewan McColl in Gran Bretagna e di Pete Seeger negli Stati Uniti.
Rispetto a tutti costoro, però, Rosa Balistreri può contare su qualcosa in più che forse avrebbe preferito non avere: una vita a dir poco difficile, una sequenza di sciagure normalmente inconcepibili nell’arco di un’esistenza qualsiasi. Insomma, come Bessie Smith, come Billie Holiday, come Janis Joplin, Rosa Balistreri ha il blues (cfr. le parole di una sua grande ammiratrice, Carmen Consoli): un sentimento che diventa espressione aristica dopo essere stato vissuto, qualche volta in simultanea, e così finisce nelle canzoni o in generale nelle opere di chi ha la sensibilità appropriata per trasformarlo.
Rosa Balistreri nasce a Licata, provincia di Agrigento, in un contesto familiare ai limiti dell’indigenza: il padre fa piccoli lavori di falegnameria, la madre è casalinga; Rosa non viene mandata a scuola per occuparsi delle attività domestiche e della ricerca di cibo nelle campagne (tempo dopo dichiarerà, forse esagerando, di avere imparato a leggere a 32 anni).
Appena sedicenne, va in sposa a Gioacchino Torregrossa. Si tratta di un matrimonio combinato e da subito infelice. Gioacchino è un alcolizzato, picchia Rosa facendole perdere il figlio che ha in grembo. Quando nasce Angela, il padre perde al gioco il corredo nuziale approntato per lei. Rosa cerca di ucciderlo brandendo una lima. Costituitasi subito, subisce una condanna a sei mesi di carcere. Poco tempo dopo è accusata di furto dalla famiglia palermitana presso cui è a servizio come domestica (e dove viene messa incinta dal figlio dei padroni causa: anche stavolta, perderà il bambino). Arrivano altri sette mesi di carcere.
È poi sacrestana nella Chiesa degli Agonizzanti a Palermo, dove vive in un sottoscala con il fratello Vincenzo e subisce le molestie di un sacerdote. Pagandosi – si dice – il viaggio tramite le elemosine sottratte alla parrocchia, si rifugia Firenze. Siamo a metà degli anni Cinquanta, Rosa si guadagna da vivere come fruttivendola insieme alla madre e alla sorella Maria che l’hanno raggiunta in Toscana. Arriva anche il marito di Maria che, non riuscendo a convincere la moglie a tornare in Sicilia, la uccide. Il padre della ragazza, sconvolto, si uccide a sua volta, sulle rive dell’Arno.
A metà degli anni Sessanta, Rosa inizia una relazione sentimentale con il pittore Manfredi Lombardi e, anche grazie a lui, muove i primi passi artistici. Conosce il poeta Ignazio Buttitta, che per lei scriverà diversi testi di canzoni, e nel 1966 partecipa alla prima edizione dello spettacolo Ci ragiono e canto diretto da Dario Fo con la partecipazione di nomi importanti del circuito folk nazionale: Giovanna Marini, Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Ivan Della Mea.
Per Rosa è una prima volta ad alto livello sotto i riflettori. Per l’esordio discografico occorre aspettare ancora un anno. Il titolo è emblematico: La voce della Sicilia. Ancora più emblematico (e personale) è quello del secondo lavoro, uscito nello stesso anno: Un matrimonio infelice. Inevitabilmente cresce anche l’impegno politico, come spiega bene una visita ad Avola poco dopo i fatti del 2 dicembre 1968, quando due braccianti vengono uccisi dalla polizia durante uno sciopero.
Nel 1969 arriva nei teatri Ci ragiono e canto n. 2, come il precedente organizzato in forma di teatro-canzone, per illustrare attraverso la musica le condizioni di vita e lavoro delle classi subalterne italiane. Due anni dopo, complice anche la fine della relazione con Lombardi, Rosa ritorna a vivere a Palermo. La ragazza che aveva lasciato la città di nascosto è ora un’artista stimata e conosciuta non solo nella regione ma in tutta Italia.
La prima metà degli anni Settanta rappresenta la fase di maggior successo commerciale. Il nome Rosa Balistreri è adesso noto anche al pubblico generalista, complice il cosiddetto folk revival di quel periodo. Nel 1972 condivide il palco con stelle della scena folk mondiale quali Odetta, Amalia Rodriguez, Maria Bethânia e Vinícius de Moraes.
Eppure, come per certi personaggi verghiani, un destino ingrato è sempre pronto a bussare alla porta.
Marzo 1973: Rosa è fra i partecipanti al massimo evento della musica leggera italiana, il Festival di Sanremo. Per lei potrebbe essere la consacrazione definitiva. Prima dell’inizio della manifestazione l’organizzazione scopre che il pezzo Terra che non senti non può essere considerato inedito in quanto già presentato nell’autunno precedente durante il programma Rai Stasera Rrrosa. La decisione è tecnicamente ineccepibile, ma Rosa vi legge una scelta politica, la volontà di togliere di torno una figura scomoda, pronta a denunciare le collusioni fra potere politico e malavita organizzata. Per molti è la vincitrice morale del Festival e il quotidiano genovese Il Secolo XIX le affida una rubrica in cui valuta le canzoni presentate in concorso.
Le cose vanno meglio l’anno seguente quando Canzonissima (assai seguito contenitore televisivo della domenica pomeriggio) istituisce, accanto alla gara canora principale, quella dedicata alla musica folk. Rosa Balistreri vi partecipa in una puntata andata in onda nel mese di ottobre con il brano Mi votu e mi rivotu. Diventa una figura carismatica nel mondo culturale siciliano, frequenta personaggi del calibro di Leonardo Sciascia e Renato Guttuso.
Intanto la carriera discografica si snoda attraverso album dai titoli sempre molto significativi: La cantatrice del Sud, Amore tu lo sai la vita è amara, Terra che non senti, Noi siamo nell’inferno carcerati, Amuri senza amuri, Vinni a cantari all’aria scuvertu. Al repertorio di matrice religiosa è dedicato l’ultimo album da lei pubblicato, Concerto di Natale (1985). Dal vivo si esibisce non solo in Italia ma anche in Germania, Svezia, Stati Uniti.
Nel 1978 partecipa a La ballata del sale, scritto da Salvo Licata e messo in scena dal Teatro Biondo di Palermo (il tema è la vita dei tonnaroti siciliani). Nel 1983 è con Leo Gullotta per La rosa di zolfo, testo di Antonio Aniante e regia di Romano Bernardi.
Nel 1990 Andrea Camilleri la vuole al Teatro Stabile di Reggio Calabria quando mette in scena I mafiusi de la Vicaria di Palermu, testo del 1863 di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca. Al termine di una delle rappresentazioni Rosa viene colpita da un ictus; trasportata a Palermo muore pochi giorni dopo, il 20 settembre 1990 all’età di 63 anni.
È inevitabile che un’esistenza tanto piena di eventi e, soprattutto nei primi anni, di tragedie, finisca per condizionare l’espressività musicale:
Il mio canto nasce] grazie alla mia povertà. alla mia miseria, alla mia fame, alla mia disperazione e alla mia emarginazione sia come donna, sia come essere umano e sia come tantissime altre cose!
La voce di Rosa Balistreri è aspra, forte, ancestrale eppure contemporanea. Andrea Camilleri la ha definita “straziata e straziante”. C’era in lei un’espressività incontenibile, che la rendeva protagonista non appena entrava in scena. Accadeva sia davanti al pubblico frivolo di Canzonissima sia davanti a quello politicamente impegnato di Ci ragiono e canto. Ovunque andasse la sua personalità si imponeva. Come racconta Giovanna Marini, “lei era la cosa vera”. Una travolgente forza espressiva la rendeva in grado di appropriarsi in modo credibile di qualsiasi cosa interpretasse, dalle ballate della tradizione folklorica alle ninne nanne, fino a motivi di composizione recente quasi sempre legati alla denuncia sociale che rappresentano i momenti più noti del suo repertorio: La mafia e li parrini, I pirati a Palermu, Mi votu e mi rivotu, Terra ca nun senti.
Ecco come Ignazio Buttitta ha raccontato il suo primo incontro con lei : “La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico e angosciato pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia. Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza autore”.
Veniva chiamata “la cantatrice del sud” (la prima figura femminile in assoluto in questo ruolo), “la voce della Sicilia”; era amata, ma anche temuta, come dimostra la sua dichiarazione dopo l’esclusione dal Festival di Sanremo:
A Sanremo i cantanti vanno per vendere più dischi e fare più soldi. Io sono venuta qui per fare politica, per protestare cantando. […] Ma io non sono una cantante, sono un’attivista che fa comizi con la chitarra.
Il mondo di Rosa Balistreri è un mondo rurale senza nulla di bucolico, fatto di indigenza e di sopraffazioni vissute anche in prima persona (Un matrimonio infelice viene dedicata alla sorella uccisa dal marito) e dei tentativi di rivolta, spesso vani, verso queste sopraffazioni. Nell’ambiente musicale dell’epoca, il suo affrancamento dai canoni ha un effetto dirompente: ispirerà molte artiste, “stufe di fare da tappezzeria” (Anna Identici).
Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi e gli onesti avranno un po’ di pace terrena.
Come per altre figure scomode della canzone italiana (Piero Ciampi, ad esempio), anche per Rosa Balistreri c’è stato, dopo la morte, un periodo di oblio. Le cose sono cambiate e stanno cambiando, però: oltre agli accadimenti più vicini a noi, proprio Carmen Consoli dal vivo ha interpretato la sua Cu ti lu dissi e le ha dedicato la canzone in siciliano A finestra, mentre nel 2008 quattro voci fondamentali del folk italiano – Lucilla Galeazzi, Clara Murtas, Fausta Vetere e Anita Vitale – le hanno dedicato un intero spettacolo, a Firenze e a Palermo.
Nel 2005 un’altra interprete siciliana, trapiantata a Berlino, Etta Scollo ha portato in tutta Europa il suo Canta Ro’: Omaggio a Rosa Balistreri con l’Orchestra Sinfonica Siciliana, e a Salina, in questi giorni, il suo percorso musicale si salderà ancora con quello di Rosa, assieme alla voce di Gaspare Balsamo, un altro personaggio che unisce i fili della tradizione e dell’appartenenza con una originalità senza remore.
Insomma, la figura di Rosa Balistreri oggi rappresenta sempre di più un capitolo importantissimo della canzone popolare italiana, a cui si possono affiancare ben pochi altri soggetti altrettanto altrettanto significativi ed emancipati.
John Vignola
John Vignola
Spotorno 1966, giornalista, critico musicale e conduttore radiofonico. Il suo ingresso nel mondo della musica è avvenuto nelle vesti di produttore, lavorando con artisti come i Perturbazione, Bugo e i Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, per poi, alla fine degli anni Novanta, iniziare la carriera radiofonica, che oggi lo vede alla conduzione de La nota del giorno, su Rai Radio1.
Tra i moltissimi lavori che ha pubblicato ricordiamo quelli dedicati a Lucio Dalla, Piero Ciampi, Rino Gaetano, Lucio Battisti, Fabrizio De André o Franco Battiato.
È stato direttore artistico del Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana, ha prodotto un documentario su Giovanna Marini e sulla Scuola Popolare di Musica di Testaccio.
In occasione della XVII edizione del SalinaDocFest Donna Oltre Confini, John Vignola, presente al festival come membro della giuria ufficiale del festival, introdurrà un omaggio musicale a Rosa Balistreri “Terra ca nun senti”, di e con Etta Scollo, con letture di Gaspare Balsamo.
L’evento si terrà Il 16 settembre, alle 23:00, nella piazza a Santa Marina Salina.